28 ottobre 2014

Ero in esilio, di Maria Pia Lotti



Ero in esilio ed esperte, mirabili
dalle grandi ali aperte furono
le sirene. Come figure della patria
il loro soave canto e la lingua
madre. Battei le strade rettilinee
sapendo che laggiù oltre
c’era la luce, ma la selva si
addensava a volte come nebbia e
smarrimento. Allora aggiusto
il cammino, e spera la mia mente, il
cuore rinchiuso. Solo tengo gli
abbracci ai compagni della mia
tristezza, e mi salva più volte
l’amore provvisorio nel me-
riggio rosa e il sapore fraterno
della sera.
***
Poi venne la notte, ritirati
I ponti mobili in un sospetto di
assedio, si spengono tutti i
fuochi e basta il lattice bianco
del pensiero. Allora il pane
scabro, corti i passi e solo
talvolta il dono parco di
un verso.
***
Quando venne il dolore, ormai
non c’erano più germogli, la
pioggia ha smesso di bagnare
il campo, che fu a volte feconda
e a volte pianto.
***
Scendono le ginocchia fino
a terra, il volto corrotto
tra le mani. Afona la gola e ogni
bisbiglio cerca di condurre
fuori dalle ossa le croci
stanche e il tremito
errante.
***
Quando venne la pace, il
primo a ritornare fu il
canto. Cantai incredula nel
coro della chiesa il salmo
che fu l’alto canto distinto
della mia giovinezza.
L’inno saliente e perduto
trovò una voce leggera in
fondo  alle caverne. Non
era ancora il cuore, ma fu
la voce di Arianna fuori
dai mostri.
***
Seconda venne l’offerta, la casa
che si apre forse prima del cuore
e severa la veglia sulla mente che
guarda vischiosa senza mani.
Allora venne il sapore alato del
dono, il vento leggero del tu e
riposano i gravi, respirano le
spalle.
             Ridiamo a cena con
la tovaglia a fiori e i valigini di
verza come la mamma.

2014

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